Dott.sa Veronica Vergani
A volte appena laureati in medicina si vorrebbe partire subito per luoghi lontani, terre martoriate dalle guerre e dalla miseria, luoghi dove mancano davvero i dottori e uno in più in certe circostanze fa la differenza per molti esseri umani.
Non sempre realizzare questi desideri è semplice concretamente e affettivamente. Io la mia Africa l’ho trovata qui, a poche centinaia di metri dalla mia casa, per la strada.
Ci sono persone che non hanno una fissa dimora, che vivono sotto i viadotti delle tangenziali, nella officine dismesse, nei dormitori pubblici. Ci sono persone che magari una casa ce l’hanno, ma non hanno famiglia o fanno fatica ad arrivare alla fine del mese con la pensione. Ci sono persone che in questa casa ci vivono con altri 10 “amici” perché venuti da paesi che non riescono a offrire loro il sostentamento e giunti qui si sono ritrovati soli e arrogantemente spauriti senza sapere bene cosa fare se hanno mal di schiena o di pancia o se hanno bisogno di vestiti... Ci sono persone che si sono perse, che non sanno più ritrovare sé stesse, che si abbandonano fra le braccia di surrogati di fittizio piacere per poi ritrovarsi più soli e affamati.
I volontari di Camperemergenza vanno lì per la strada, dove queste persone vivono e gli stanno vicino proprio di sera quando la solitudine e la fame pesano ancor più.
Mancava davvero qualcuno che ascoltasse e si prendesse cura delle quotidiane sofferenze fisiche di queste persone, e così si è avviato, all’inizio forse in modo un po’ sgangherato, ma via via più organizzato, il servizio medico che affianca Camperemergenza.
La medicina che vi si pratica è un po’ particolare; i nostri pazienti, talora, non hanno patologie fisiche specifiche o particolari, quanto piuttosto bisogno di essere rassicurati e trattati con rispetto. Anche per chi manifesta problemi sanitari concreti, non sempre è sufficiente una pastiglia, una medicazione o quel che è in grado di offrire un servizio di primo aiuto com'è il nostro: perché capire i nostri pazienti non sempre è facile e soddisfare le loro esigenze non sempre è possibile nell’immediato. La cura medica esige perciò di essere accompagnata da un rapporto umano di sostegno e di accompagnamento. E anche di educazione, per quanto sia difficoltoso. Perché a volte, nel tentativo di insegnar loro i diritti che hanno e i servizi sanitari pubblici a cui possono rivolgersi per ricevere un aiuto più complesso, si rischia di perderli.
Alla fine, un po’ per volta, si impara a relazionarsi con loro, si accetta che non sempre c’è una medicina per curare il loro particolare “mal di cuore”, si accetta che si spaventino a morte per la pressione alta, ma non prendano le medicine che consegni loro; sera dopo sera si impara a cavarsela con le risorse che hai che non sono certo le stesse del grande ospedale dove hai studiato. Si impara a sopportare l’impotenza di fronte all’ingiustizia della nostra società per cui se ti fa male un dente e non hai i soldi per andare dal dentista finisce che il dente marcisce e solo allora troverai qualcuno che te lo toglie gratis.
Soprattutto un po’ alla volta impari a conoscere questi speciali pazienti, conosci le loro storie, il percorso che li ha portati lì, al punto dove tu li hai incontrati, prendi concretamente contatto con gli scherzi che la vita sa tirare, con la difficoltà di viverla questa vita, con la nostra debolezza di uomini, con la consapevolezza che non è poi così raro e strano finire a vivere in questo modo e che non sempre è una questione di meriti o demeriti.
E allora se anche a volte torno a casa triste e un po’ sfiduciata interrogandomi sul senso del mio agire da medico in questa situazione di frontiera, mi ricordo che curare vuol dire soprattutto prendersi cura. Sulla strada più che altrove.
Marco, Paola e Lorenzo
Non è facile per noi scrivere queste poche righe, perché parlare dell’esperienza che stiamo compiendo con gli altri amici e amiche del “Camper” vuol dire parlare di qualcosa che ci ha e ci sta colpendo nell’anima e nella mente. Non è facile in sé, figuriamoci poi con la pretesa di farsi capire da chi leggerà queste poche righe.
Detto questo, ci proviamo.
Giusto un anno fa, a dicembre, grazie all’apripista fatto da Elena e Roberto (altri due volontari “camperisti”), abbiamo partecipato alla serata dell’ultimo dell’anno. Una serata che è rimasta ben incollata alla memoria (oltre che nei nasi, nei piedi e nelle mani gelate, perché quella sera lì, chi c’era se lo ricorderà bene, faceva un freddo becco) e intatta e profonda nel cuore
Nella memoria ritroviamo le prime immagini delle persone che poi, lentamente, rispettando giustamente i tempi e le volontà di ciascuno, abbiamo cominciato non solo a riconoscere, associando un nome ad un volto, ma anche a conoscere, anche se poco, anche se solo in superficie.
Nel cuore, abbiamo ritrovato e ritroviamo l’essenzialità di rapporti umani che solo apparentemente sono basati sugli aspetti materiali (la fame, il freddo, abiti troppo sporchi per essere portati e che quindi vanno cambiati…), ma che invece rivelano una umanità vera, profonda e sensibile.
Certo, c’è di tutto in quelle due ore che si passano tra via Leonardo da Vinci e il retro dell’ex Camera del Lavoro: la persona simpatica, la persona fastidiosa, quella riservata e quella invadente, la persona che rispetta le (poche, ma giuste e giustamente rigide) regole e quella che invece le aggira (o perlomeno ci prova).
La retorica è sempre in agguato quando si vivono esperienze come queste, dove tocchi con mano la consistenza, la dimensione, l’odore di “un’altra società”, quella degli esclusi, quella di chi vive da emarginato, chi per scelta, chi per conseguenza a debolezze sociali e personali, oppure, peggio, chi vive da emarginato per razza, etnia, provenienza, vittime quindi di pregiudizi e ostilità.
Non è retorica però per noi dire che questa esperienza ci stà arricchendo, in primo luogo ridimensionando la nostra vita materiale, fatta di mille cose inutili o, se non inutili, certamente non indispensabili.
Non è retorica per noi dire che questa esperienza ci stà restituendo un senso concreto all’essere cittadini e cittadine, al sentirsi parte di un processo, per fortuna molto più ampio e forte di noi, che intende costruire una Comunità accogliente, vicina, prossima, e non una Comunità che separa, seleziona, respinge.
Nella certezza che queste parole saranno comprese per l’amicizia e il rispetto che sentiamo essere pienamente presenti con le persone che hanno costruito nel tempo e nella fatica questa realtà di aiuto, permetteteci anche di dire che è significativo, per noi che non siamo praticanti, avere trovato un terreno comune con chi invece lo è. Un terreno fatto non solo di solidarietà concreta, ma anche di equità, una equità vera, non a parole, rappresentata ogni sera da quel sacchetto che viene dato a tutti coloro che ne hanno bisogno, rispettando una regola antica di vicinanza e di amore tra gli uomini, una regola che il “vivere di oggi” mette quotidianamente in fortissima crisi, con le guerre, le miserie, le distruzioni.
E per finire, due parole rivolte agli scettici o ai polemici. Eh sì, perché c’è gente che, con distacco e accento snob, critica esperienze come queste, dicendo che “non servono”, “sono poca cosa”, “non risolvono i problemi”, eccetera eccetera eccetera.
Sarà! E siccome persone così temiamo ve ne siano tante, vorremmo citare un piccolo/grande episodio, per dare un segno di concretezza alla speranza di un futuro migliore.
Le prime sere del “camper”, un anno fa, sentivamo parlare di Moustafà, un giovane marocchino con problemi di alcoolismo, da tempo abitante sotto Ponte Mella, tra fango, topi, freddo e buio. Sentivamo i volontari “anziani” che dicevano “hai visto com’era cambiato Moustafà durante il Ramadam? Sobrio, pulito, tranquillo, sembrava un altro, e invece guarda come è di nuovo conciato”.
Poi finalmente l’abbiamo conosciuto, e come tutti, ogni lunedì sera, attendavamo il suo arrivo, la sua camminata sempre un po’ sghemba e incerta, le sue barzellette. Un po’ alla volta, rendendoci conto di come e dove viveva, abbiamo iniziato a pensare in che modo si potesse offrire a Moustafà una occasione di cambiamento, scoprendo ben presto che questa “pensata” mica l’avevamo inventata noi, perché era già da tempo nei pensieri e nelle speranze di “quelli del camper”.
Insomma, per farla breve: noi non sappiamo cosa stia facendo adesso Moustafà, però sappiamo dov’è. E’ a casa sua, in famiglia, a Casablanca. Non è più su un letto di assi e coperte ammuffite, con topi grossi come gatti pronti a fargli fuori i panini nel sacchetto. E’ al caldo, parla con la sua gente, cammina nella sua città senza dovere chiedere soldi agli angoli delle strade, e può di nuovo decidere della sua vita.
Inutile? Troppo poco? Sarà, ma a noi questa prova è piaciuta, ci è piaciuta proprio, e siamo pronti a ripeterla.
Ciao, e grazie, quindi, a tutti e a tutte voi del “camper”, per averci accolto con simpatia e sincerità.
Grazie davvero.
In tutti questi anni abbiamo
avuto la fortuna di incontrare sul nostro cammino tanti amici sensibili
ricevendo ovunque sostegno morale ed economico. Vogliamo ringraziare
tutte le persone e le realtà sociali e rivolgere loro una
preghiera chiedendo d’esserci sempre vicini nella
collaborazione. Non mancano fatiche e incomprensioni… ma
colpisce soprattutto l’impegno di singoli, di associazioni,
di parrocchie e di gruppi che collaborano perché
Camperemergenza possa continuare la sua missione.
Un grazie, un sentito grazie di tutto cuore.
Vogliamo ricordare e ringraziare almeno le realtà
organizzate, tacendo per pudore i nomi delle singole persone,
perché possano ricevere un ringraziamento ben più
importante dal Dio che legge nel segreto dei cuori:
Associazione Cucina Amicizia del Villaggio Sereno
Associazione Essere Carità Bresciana
Azione Cattolica diocesana di Brescia
Caritas Diocesana di Brescia
Caritas Parrocchia SS. Nazaro e Celso -Brescia
Caritas Parrocchia S. Maria della Noce - Brescia
Caritas e Gruppo Missionario della Parrocchia S. Filippo
Neri - Brescia, Villaggio Sereno
Caritas Parrocchia S. Giulio Prete - Brescia, Villaggio Sereno
Caritas Parrocchia S. Giacinto - Brescia, Lamarmora
Caritas Parrocchia di Orzinuovi (BS)
Casa della carità - Caritas di Crema
Cooperativa Cauto di Brescia
Congregazione Suore Ancelle della Carità di
Brescia
Croce Bianca di Brescia
Gruppo 29 Maggio di Ghedi (BS)
Gruppi Giovanili parrocchiali
Gruppo Giovani Medici Cattolici di Brescia
Gruppi Scout AGESCI di Brescia
Pastorale della salute Diocesana di Brescia
Volontari Camperemergenza della Parrocchia S. Carlo - Rezzato (BS)
Volontari del sostegno di Ghedi (BS)
Volontari di Casa Gabriella di Brescia
... e tanti altri!
GRAZIE!